L'Homme Armé
Lume alla terra
Venerdì 13 giugno 2025 alle ore 20 l’ensemble dell’Homme Armé torna in sala Zubin Mehta.
Sul podio, Fabio Lombardo
In cartellone le musiche di Claudio Monteverdi, Giovanni Gabrieli, Giovan Battista Grillo, Luzzasco Luzzaschi e Ottavio Bargnani.
Firenze, 10 giugno 2025 – Continuano gli spettacoli del ciclo Maggio Aperto, i concerti che uniscono il Teatro e il suo Festival al mondo delle variopinte e numerose realtà musicali del territorio, inclusi nell’ambito dell’87° Festival del Maggio Musicale Fiorentino. Venerdì 13 giugno 2025 alle ore 20, nella Sala Mehta l’Ensemble L’Homme Armé, accompagnato dalla banda La Pifarescha, con la direzione di Fabio Lombardo, presenta Lume alla terra. Monteverdi sacro e profano.
L’Homme Armé da oltre quattro decenni svolge un’intensa attività di ricerca e di esecuzione concertistica e discografica del repertorio, principalmente vocale, dal ‘300 al ‘600, dedicando particolare attenzione al repertorio fiorentino. Fabio Lombardo ha debuttato nelle stagioni del Maggio, sempre con l’Homme Armé nella primavera del 2011. Oltre all’ensemble L’Homme Armé, protagonista della serata anche la banda La Pifarescha.
Il concerto è costruito intorno a due importanti opere monteverdiane: la Missa in illo tempore, pubblicata nel 1610 insieme al famosissimo “Vespro della Beata Vergine”, e la Sestina. Lagrime d’amante al sepolcro dell’amata, un ciclo di madrigali su testo di Scipione Agnelli, composto in memoria di Caterina Martinelli, pubblicato nel 1614 all’interno del VI libro di madrigali: due opere in cui sacro e profano prendono connotazioni diverse. Nel caso della messa, composta in stile antico (ma pubblicata insieme al Vespro, cioè a quanto di più moderno era concepibile al tempo), assistiamo a una esplosione di fantasia contrappuntistica che sembrerebbe mirata a creare il nuovo con strumenti antichi. Questa Missa del 1610 (le altre due a quattro voci furono pubblicate nel 1643 e nel 1650) ha in realtà le radici saldamente piantate nella musica del Rinascimento, ma le fronde completamente proiettate verso un’altra epoca. Al di là della superficie stilistica e del tour de force contrappuntistico, la Missa in illo tempore svela nuove prospettive musicali, in particolare nell’impianto quasi modernamente tonale in cui si muove il contrappunto, e nella relazione del testo con la musica. Tutti aspetti che contraddistinguono un’opera decisamente moderna pur usando una tecnica antica, anzi omaggio dichiarato al glorioso stile fiammingo.
L’inserimento in questo programma della famosa Sestina. Lagrime d’amante al sepolcro dell’amata, tratta del VI libro dei Madrigali (pubblicato nel 1614 quando Monteverdi era già a Venezia) potrebbe suonare improprio: un ciclo di madrigali in un contesto quasi interamente sacro. In effetti il brano fu commissionato al compositore dal duca Vincenzo Gonzaga per commemorare la precoce scomparsa (a 18 anni, di vaiolo) di Caterina Martinelli, detta la Romanina, una cantatrice chiamata da Roma alla corte di Mantova per le sue particolarissime doti musicali. Dietro i personaggi citati nel testo di Scipione Agnelli, il pastore Glauco e la ninfa Corinna, si nascondono il committente, il duca stesso, e la giovane scomparsa. Questo ciclo di madrigali, inserito nella più ampia produzione monteverdiana, evidenzia bene come i confini tra sacro e profano diventano più labili, a meno che non si resti ancorati a dei luoghi comuni schematici o dogmatici, stile declamatorio concertante = profano, stile imitativo da cappella = sacro. Il carattere solenne della commemorazione funebre acquista in questo caso una sacralità che assume toni diversamente ieratici rispetto alle complessità contrappuntistiche della Messa in programma. Le particolarità della scrittura polifonica di questi madrigali adombrano il nuovo modo di sentire che in quegli anni prendeva la forma del melodramma.
A chudere il programma, pensato come un’immaginaria liturgia, una serie di brani strumentali di autori contemporanei, colleghi o allievi di Monteverdi, affidati alla magnificenza sonora del cornetto, lo strumento che all’epoca si avvicinava di più alla voce.