"Matthäus-Passion": sul podio Kent Nagano con la regia regia, scene, costumi e luci di Romeo Castellucci

Sabato 6 alle ore 17, domenica 7 dicembre 2025 alle ore 15.30 va in scena la grandiosa “Matthäus-Passion” immenso capolavoro di Johann Sebastian Bach.

Sul podio, alla guida dell’Orchestra, del Coro e del Coro di voci bianche dell’Accademia del Maggio il direttore Kent Nagano. L’allestimento è firmato da Romeo Castellucci.   

Allestimento del Maggio Musicale Fiorentino

Firenze, 5 dicembre 2025 Sabato 6 alle ore 17, domenica 7 dicembre 2025 alle ore 15.30 va in scena la grandiosa “Matthäus-Passion” immenso capolavoro di Johann Sebastian Bach, oratorio composto nel 1727 e mai eseguito nel corso delle stagioni del Maggio. Sul podio della Sala Grande, alla testa dell’Orchestra, del Coro e del Coro di voci bianche dell’Accademia del Maggio il maestro Kent Naganoal suo debutto in Teatro L’allestimento, che si basa su quello di Amburgo del 2016, è ideato nella regia, nei costumi e nelle luci da Romeo Castellucci, anche lui al suo debutto al Maggio. La drammaturgia è di Piersandra Di Matteo.

La compagnia di canto è formata da Ian Bostridge - che torna dopo il successo del War Requiem della scorsa primavera - nella parte di Evangelist; Anna El-Khashem, al suo debutto al Maggio, è il I Soprano; Suji Kwon, di ritorno dopo l’Aida della scorsa estate è il II Soprano; Iurii Iushkevich è l’Alto; Krystian Adam è il Tenore e Edwin Crossley-Mercer è Gesù. Chiudono il cast rispettivamente come I Basso e II Basso Thomas Tatzl e Gonzalo Godoy Sepúlveda.

Nello spettacolo ci troviamo “trasportati” in uno spazio quasi asettico, dove la scena e coloro che la compongono sono dominati da un bianco luminoso e accecante che 'abbraccia' tutto: il pavimento, le pareti drappeggiate fino ad arrivare ai costumi dei musicisti. Castellucci - nella sua interpretazione - cerca un incontro fra la trascendenza del racconto biblico (alla base dell’oratorio di Bach) e le esperienze di vita e di morte evocate attraverso la sua personale visione della messinscena.

Come puri oggetti della contemplazione, una serie di elementi appariranno uno dopo l’altro, senza alcun espediente tecnico. Il regista - che si è affermato su diversi palcoscenici europei con numerose produzioni teatrali di opere e opere sacre - cura non solo la messa in scena ma anche la scenografia, i costumi e le luci. Il suo lavoro comprende naturalmente elementi di teatro ma arriva a sfiorare anche quelle che sono le caratteristiche di una vera e propria “installazione visiva”. 

Nello spazio interamente bianco, l’orchestra è vestita con un semplice abito altrettanto bianco. Il coro e i solisti sono posizionati vicino a essa in una disposizione lineare dove l’unica pennellata di colore è rappresentata solo dal cantante che interpreta l'Evangelista, il quale indossa una sciarpa blu. Le azioni sono accompagnate da oggetti che possono essere percepiti inizialmente dal pubblico come inconsueti o anomali e, se immaginati all'interno di questo contesto sacro, quasi inappropriati.

Alcuni di questi sono correlati ai testi, come un busto dell'imperatore Tiberio Giulio Cesare Augusto nella stazione I “Imperium” o nella stazione IV “Cena” nella cui rappresentazione sono stati raccolti i piatti dell’ultimo giorno di vita di persone che hanno vissuto a Firenze; in altri casi non è evidente una reale connessione tra oggetto e testo: per esempio, durante la celebrazione della stazione V “Ecclesia”, un vecchio autobus viene trainato sul palco, sdraiato su un fianco. 

Nel corso della rappresentazione le azioni eseguite dagli artisti sono limitate: tutti i partecipanti umani nello spazio performativo, siano essi coinvolti in azioni specifiche o impegnati nell'allestimento e nello smantellamento di oggetti e installazioni, agiscono con la massima moderazione gestuale e facciale. Sembrano evitare ogni espressione umana visibile di dolore, sofferenza, compassione o altri stati emotivi.  Lo spettatore è lasciato interamente in balìa della propria percezione soggettiva e alla sua interpretazione di quanto accade davanti ai suoi occhi. Tuttavia a tutto il pubblico per permettere un migliore orientamento, viene distribuito un piccolo libretto che illustra tutte le stazioni in sequenza con la loro struttura.

L’opera:

Composta da Johann Sebastian Bach nel 1727 per l’ufficio luterano della Settimana Santa, la Matthäus-Passion (Passione secondo Matteo), BWV 244 cadde nell’oblio dopo la morte del compositore. Poco più di un secolo dopo, fu Felix Mendelssohn a riesumarla e a eseguirla in concerto a Berlino l’11 marzo 1829, restituendo all’umanità quell’immenso capolavoro bachiano oggi considerato icona musicale della confessione religiosa. La Matthäus-Passion colpisce tanto per la sua architettura colossale (che prevede solisti, un doppio coro e una doppia orchestra) quanto per la forza espressiva del linguaggio musicale.

 Il testo, approntato da Picander (pseudonimo del poeta Christian Friedrich Henrici), prevede una nutrita schiera personaggi. Ai ruoli principali di Gesù, l’Evangelista (a cui è affidato il compito della narrazione) Pietro, Pilato, l’ancella, si aggiungono altre figure come Giuda, la moglie di Pilato, Giuseppe d’Arimatea, la figlia di Sion, ancelle, testimoni, soldati, una molteplicità di voci resa possibile grazie all’impiego del doppio coro. Colonna portante dell’opera, articolata in due ampie parti, sono i corali che Bach usa secondo precise esigenze espressive.

Arie e ariosi, momenti di meditazione e contrizione, fanno invece da contraltare alla narrazione sofferta dei recitativi, dove è accentuata la componente umana del dramma della passione di Cristo ritratto in tutto il suo dolore di uomo.